C’era una volta una ragazza, contenta di poter razzolare
tutto il giorno tra piante fiorite di ogni genere, era una gran fatica vagare
da una parte all’altra del bosco, ma in quel momento era quello che voleva
fare.
Alcuni abitanti del bosco, che erano lì prima di lei, non amavano
l’idea di dividere il loro spazio con la nuova arrivata, ma col tempo si
rivelarono alleati amorevoli.
Le stagioni si susseguivano non senza problemi, affacciato
sul bosco, infatti, troneggiava il castello del tiranno, con lui una strega
brutta e maligna che i poveri di amor proprio vedevano bellissima. I due erano
accompagnati da un giullare divertente nelle movenze, ma che non si sbottonava
mai, l’unica cosa che sbottonava era il panciotto, sempre troppo stretto per il
suo pancione.
Il tiranno spesso passeggiava nel bosco, con l’unico piacere
di spaventare tutti i poveri malcapitati che finivano lungo il suo cammino. Nelle
notti in cui la luna si faceva così sottile da non vedere ad un palmo dal naso,
alcuni abitanti del bosco, che per poche briciole si erano svenduti,
passeggiavano tra le grandi piante spargendo pozioni velenose, con l’unico
desiderio da parte del tiranno di avvelenare qualsiasi essere vivente, compresi
i piccoli folletti che di tanto in tanto affollavano il bosco coi loro colori e
le loro piccole risate. I grandi sapevano, ma troppa era la paura per fare qualcosa,
quando il sole saliva in cielo e al risveglio il popolo si stropicciava gli
occhi era persino difficile respirare, allora per rabbia qualcuno si faceva
forza cercando di portare avanti una battaglia, ma era tutto inutile.
Tra una passeggiata e l’altra il dittatore spesso puntava il
dito contro qualcuno, l’unica cosa che andava fatta era stare immobili, zitti e
non guardarlo mai negli occhi, altrimenti si rischiava di veder rotolar via la
propria testa dal collo. Intanto la strega zompettava allegramente nel bosco,
perchè solo lì riusciva ad essere bella come una dea, alcune donne al suo
passaggio creavano un tappeto di fiori, solo dopo, quando la strega era di
schiena, alla visione di tutti quei fiori morti, marcescenti, riuscivano a
vederla per quello che era veramente. Ogni tanto il giullare si intratteneva
con gli uomini del villaggio, ed era in quelle occasioni che quest’ultimi si
facevano forza, discutendo di come fosse diventata, ormai, impossibile la loro
vita, ma il giullare non ne voleva sapere, con le mani grassocie mimava di
cucirsi la bocca e tirando indietro le mani come a dire “io non ne so nulla”,
tra una goffa capriola e una grassa risata se ne tornava al castello.
La ragazza dopo un po’ di tempo, non seppe più stare
immobile e zitta, presto sfidò gli occhi di ghiaccio del tiranno. Riuscì a
salvarsi, grazie all’amore dei fiori e delle piante, con cui passava tanto
tempo, ma presto questo non bastò e la sua testa rotolò via.
Continuò a rotolore, sospinta dal vento e dalle carezze
delle piante. Nei boschi vicini avevano sentito parlare di lei e del suo
coraggio, cosicchè anche l’arbusto più tenace, addolcito dalla sua storia,
volle dare il suo contributo. Rotolò e
rotolò ancora, fino ad arrivare in un posto dove solo una misera margherita era
riuscita a fare capolino, lì si sentì a casa, la sua forza e quella del piccolo
fiore si erano finalmete incontrate, in quel luogo grigio e apparentemente
ostile, per restituire la vita a quel terreno, dove, solo dopo pochi giorni,
cespugli verdi iniziarono a vivere, di nuovo.
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